La Storia

La Storia (4)

Mercoledì, 03 Febbraio 2016 15:26

Oggi

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Ricevetti, ancora bambino, l’onore ed il compito di proseguire la storia del Barolo Chinato Cappellano, attraverso l’insegnamento della ricetta, della tecnica e delle piccole accortezze. Lasciato libero di approfondire le mie inclinazioni al di là della produzione vinicola, ho trascorso gran parte della giovinezza tra il mortaio e lo studio della chimica. Una volta intrapresa la carriera accademica qualcosa però cambiò di fronte ad un tramonto tra le vigne. Qualcosa non andava e mi resi conto che l'indole e l'appartenenza mi stavano riportando al vino e alla cantina.

"Bisogna essere un po' matti per voler trascorrere la vita a guardare il cielo", mi ripeteva mio padre, alludendo alla preoccupazione relativa alle intemperie che segna la sorte di un contadino... effettivamente però questa frase sottintende giustamente una buona dose di romanticismo. Sono - purtroppo - un romantico come mio padre e - come mio padre - indubbiamente un po' folle. La sua scomparsa è stata una perdita ed un dolore incredibile, per tutti noi e per la cantina. In pochi avrebbero scommesso sul fatto che ci sarebbe stato un futuro. Invece le notti insonni di chi ha perso qualcuno di irrecuperabile sono state la mia, la nostra, risorsa. Siamo rimasti in piedi e abbiamo cambiato tante cose. Abbiamo riportato ordine nel caos creativo di quel genio che era Baldo, abbiamo sistematizzato, ristrutturato, perfezionato. Credo, come lo credeva mio padre, che la discriminante siano il rispetto e la tutela della natura, dell'ambiente. Non scendo a compromessi se si tratta di interventi in vigna o in cantina e mi ritengo fortunato perché ho potuto accostare gli insegnamenti contadini alla conoscenza tecnica e scientifica delle pratiche colturali biologiche. Credo che tutto ciò non rappresenti un limite alla correttezza ed alla qualità organolettica: la mia sfida è condurre la natura, consentirle di esprimersi. Credo inoltre che la differenza la facciano sempre le persone, che siano le relazioni a dover essere coltivate e valorizzate. È un impegno, quello che devo alla mia felicità, alla memoria di mio padre e ai volti che mi sono accanto.

La Cantina Cappellano è ciò che è oggi grazie ai miei avi, a mio padre. Ma anche grazie agli amici produttori che mi sono stati accanto e mi hanno sostenuto quando ho perso mio papà; a mia madre che è sempre stata ed è tuttora un pilastro dell'azienda; a ciascuno dei miei collaboratori che, chi da sempre e chi di recente, credono e amano la filosofia che anima la cantina Cappellano. Ed oggi, mentre ancora con gli stessi strumenti utilizzati dal mio prozio frantumo le droghe, posso dirmi orgoglioso di avere tra le mani la sintesi di un secolo e mezzo di storia della mia famiglia.

Mercoledì, 03 Febbraio 2016 15:26

L'era di "Baldo"

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Mio nonno, Francesco Augusto Cappellano, anch’egli enologo, proseguì la strada tracciata dai suoi avi, lasciando il testimone al figlio Teobaldo, mio padre, sul finire degli anni ’60. Dopo un’infanzia trascorsa in Eritrea, Teobaldo prese il timone dell’azienda modificandola completamente: dimensioni ben più ristrette e massima attenzione alla qualità, secondo direttrici bel precise. Da un lato un'inedita attenzione al territorio, fatta di radicamento ed impegno. Le Langhe di quegli anni, ben lungi dall'attuale riconoscimento, erano terra difficile che Teobaldo si impegnò a promuovere e difendere attraverso un'attiva e instancabile partecipazione al Consorzio del Barolo e Barbaresco e come presidente dell'Enoteca Regionale del Barolo. Al contempo, la recente fama e le difficoltà economiche di chi produceva vino rendevano troppo allettanti le incursioni di un approccio industriale alla viticoltura. Teobaldo fu tra i primi ad affermare la necessità di un ripensamento della produzione, ritrovando l'armonia con le radici del lavoro contadino e assumendo la responsabilità di una tutela ambientale.

Negli ultimi anni della sua vita è stato presidente dell'associazione Vini Veri, in prima linea nella promozione di un approccio naturale alla produzione vinicola, impegnandosi soprattutto nella formazione di una rete consapevole tra produttori, orientata alla ricerca ed al sostegno reciproco. D'altro canto l'orientamento alla qualità imponeva una attenzione al Barolo Chinato, che negli anni Sessanta stava conoscendo un momento sfortunato a causa del proliferare di nuovi concorrenti di scarsa fattura. Teobaldo continuò caparbiamente a credere nella ricetta scritta a mano da suo zio Giuseppe, ricevuta dal padre Francesco in busta chiusa e sigillata. Con la delicatezza e la perseveranza che gli erano propri, lungamente combatté i pregiudizi che avevano investito il Barolo Chinato.

Dopo anni di lotte riuscì nel suo intento, riportando l’elisir al prestigio che gli spetta di diritto e che ora vanta; custodendo gelosamente, sia nel periodo difficile che in quello fortunato, la ricetta dell’avo e difendendone l’artigianalità.

Mercoledì, 03 Febbraio 2016 15:26

Il '900

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All’Esposizione Universale di Parigi (la stessa in cui fu eretta la Tour Eiffel per commemorare il centenario della Rivoluzione Francese), la cantina di Giovanni Cappellano vinse la medaglia di bronzo. Il mio perspicace bisnonno si era probabilmente recato in Francia per conquistarne il mercato, essendo le viti francesi in quegli anni già colpite dalla fillossera. Giuseppe, fratello di Giovanni, si laureò invece in farmacia, scegliendo la strada industriale vinicolo - farmaceutica. Produsse in quel periodo mosti concentrati curativi nonché le prime gelatine d’uva (guadagnandosi una medaglia d’oro alla mostra internazionale), ed inventò il Barolo Chinato. L’avventura industriale di Giuseppe durò poco: nel 1912 suo fratello Giovanni morì, colpito da una febbre tropicale contratta in Tunisia (ove si era recato per cercare un vitigno resistente alla fillossera), e Giuseppe scelse pertanto di occuparsi dell’azienda di famiglia.

Mercoledì, 13 Gennaio 2016 10:39

Le Origini

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La storia della cantina Cappellano inizia dal mio trisnonno, il notaio Filippo Cappellano, ricco possidente con la passione per il vino, che a 48 anni fondò l’azienda, accorpando nella proprietà ben 150 giornate piemontesi (che corrispondono a circa 60 ettari) di terreno coltivabile. Alla sua morte il figlio Giovanni, enologo, proseguì nella conduzione dell’azienda, ristrutturando la cantina e realizzando due impianti alberghieri ad Alba e Serralunga, muniti dei migliori servizi per soddisfare il turismo ligure-piemontese. A Serralunga ideò la famosa “cura dell’uva”, istituendo un servizio di carrozze per il collegamento con la stazione ferroviaria di Alba.